Hai scosso la terra, l’hai squarciata.

Risana le sue fratture, poiché sta crollando” (Sal 59)

 

Un riferimento biblico di grande risonanza per tutti coloro che appartengono ad una Chiesa di vita, in continua ricerca della Vita che non finisce. I passaggi intensi della nostra ricerca di pellegrini nel tempo, comportano “processi d’abisso”; combattimento, stupore, fragilità… complessità riscattate dall’amore divino che cercano vie semplici di relazione. Con Dio, con se stessi, con gli altri, con il creato.

Tormenti che si aggrappano alla Parola e da essa preceduti, poi raggiunti, resi significativi e risolti, quasi dissolti nell’oceano di pace che la fede permette di navigare. Non punirmi, Signore, nel tuo sdegno, abbi pietà di me. Quante volte… quante volte lo abbiamo chiesto al Signore?

Questa antifona che la Chiesa formula per introdurre la prima parte del salmo 37, concentra in poche parole la paura profonda del cuore che sa mettersi in discussione, che sa provare sincera contrizione nella consapevolezza della sua grande vulnerabilità. Ciò che segue è una constatazione della debolezza della natura umana, in attesa di comprendere altrettanto profondamente la misericordia di Dio. Imbocchiamo strade, inciampiamo, perdiamo l’equilibrio, non accettiamo il nostro limite con pazienza umile. Per la via che conduce al Santuario è facile inciampare; generosa di buche, scavate dalle intemperie, riempite di brecciolino facilmente rimosso dal passaggio di mezzi di trasporto. Una strada che evoca i nostri percorsi, ma non solamente nelle sue asperità. E’ una strada che conduce ad un luogo di accoglienza e preghiera. Una strada mariana, una strada esposta a brezze carmelitane che conducono dove Dio parla all’uomo in amicizia, dove cambiano le prospettive e si apre una “speranza di vetta”. Immaginiamo un uomo in cammino, con lo sguardo rivolto a terra; “Il carico pesante che mi opprime mi toglie il respiro, la percezione del disfacimento del mio corpo per la violenza interiore del mio combattimento, assorbe le migliori energie. Hanno ragione gli altri a disprezzarmi e chi mi ama forse non si è accorto di chi sono veramente. Nessuno amerebbe una persona come me. Ogni mio desiderio è di fronte a te, o Signore; me li hai donati tu i miei desideri…

Putride e fetide sono le mie piaghe a causa della mia stoltezza. Sono curvo e accasciato, triste mi aggiro tutto il giorno. Ho paura di commettere il male, anche se non lo vorrei… non sopporto che qualcuno parli di me a qualcun altro per considerare quale sia il modo migliore per addomesticarmi, per farmi crescere… come se avessi sempre bisogno di figure genitoriali pronte a punirmi o a mortificarmi nelle mie espressioni più spontanee. Che poi finisco per temere. Orgoglio? Incapacità di amare in modo adulto? Gran tristezza per la bellezza di ciò che provo ma che ancora non è libertà? … ruggisco per il fremito del mio cuore. Rabbia e tristezza si alternano e diventano grida e gemiti che mi spaventano. E mi vedo in solitudine… come un barbone avvolto da stracci di commiserazione o compassione, con le orecchie piene di parole quali ‘…eh… con tutto quello che poteva essere… fare… guarda come si è ridotto… vedi cosa accade quando si rifiuta la grazia di Dio? Non è proprio capace di amare neanche se stesso…’

… e il mio gemito a te non è nascosto. Non mi accontento; sono insaziabile di scoperte condivise, cammini di esplorazione e familiarità profonde… Lo hai creato tu questo mio cuore, non mi hai donato tu questi incontri e i migliori tra essi… non è tua la bellezza di queste relazioni che alimentano la vita? Perché rovino sempre tutto… perché uccido e sono ucciso? Palpita il mio cuore, la forza mi abbandona, si spegne la luce dei miei occhi. Amici e compagni… stanno a distanza. Non so se sia più forte il dolore provocato da chi mi sta intorno o quello che mi provoco io. Dove comincia e dove finisce la mia parte… non riesco a dirmi ‘accontentati!’… qualcuno mi dica che non sono sbagliato…

Vedo il portone di una chiesa; è un Santuario… sento la presenza di qualcuno che partecipa alla mia sofferenza… mi sento ‘letto dentro’. E… all’improvviso anch’io leggo più chiaramente. Non sono più straniero, non sono più ospite, ma concittadino di tanti pellegrini in viaggio e pellegrini già arrivati. Sembra che qualcuno mi consegni le chiavi di casa, le chiavi della mia storia”. E il viaggio continua…