La giornata era particolarmente calda, una strana foschia spegneva la vivacità del cielo, del mare, del sole reso visibile nei suoi contorni per l’attenuata luminosità. Il color porpora delle piante di buganvillea, squarciava invece, con la sua intensità questo velo biancastro che avvolgeva tutte le cose: cascate di brattee cuoriformi sui balconi e sulle inferriate, proteggevano allegramente l’intimità dei nuclei familiari e richiamavano il calore in essi custodito. Una giovane donna, stanca, assorta nei suoi pensieri, camminava lentamente per il viale: d’un tratto, sentì un saluto carico di attesa; “Ciao zia!” La nipotina era affacciata al balcone e la stava osservando da lontano. Sali le scale con il sorriso, ad ogni gradino sentiva che una nuova energia la stava attraversando. Varcò la soglia della casa ed entrarono entrambe in un tempo di reale incanto, quello che solo i bambini possono offrire, pieni di vita, attenti a tutto, sensibili e curiosi ricercatori di novità per giocare e crescere. Seduta su una sedia in balcone, dentro l’area protetta dalla buganvillea, la giovane donna fu coinvolta immediatamente nell’atmosfera giocosa creata dalla bimba che per accoglierla, aveva immaginato una piccola storiella con i colori interiori dell’estate, perfettamente corrispondenti a quanto potesse essere raggiunto con lo sguardo intorno alla casa. La osservava stupita per la sua espressività: notava la fresca disinvoltura di inventare storie partendo dalla realtà, e la spontanea interpretazione che le faceva articolare movimenti di ogni parte del corpo come imitazione puntuale e personale di personaggi buffi nel cui carattere si concentravano verità quotidiane… Fu immediato il richiamo alla sua infanzia, a quanto di quella fresca spontaneità nel tempo si era affievolito in lei cercando riposo e rifugio in convenzioni sociali. Il benessere che provava nell’osservare la nipotina suscitava nostalgia di un ritorno speciale, il ritorno alla “sua” bambina che dentro si stava risvegliando per sintonizzarsi con il brio vitale che l’aveva raggiunta. Non c’erano regole o condizionamenti, pudore o pregiudizio, solo libera espressività mimetica efficace, che diffondeva gioia naturale. Cosa c’era in questa bambina… il suo sguardo sembrava innamorato del personaggio che interpretava, quasi lo conoscesse tanto intimamente da sentirlo parte di sé. Un personaggio che sapeva muoversi nel suo ambiente abitato, nel mondo che lo circondava con tutte le sue preziose sfumature di emozioni e sentimenti. Un personaggio bizzarro, con un’identità precisa, ma disposto al cambiamento di scena, fino a trasformarsi in uccello che impara a volare in un cielo senza nuvole. Persino i colori della natura e di ciò che egli indossava sembravano percepibili allo sguardo della donna. Non si trattava forse di un presentimento d’amore? Ciò che fa esclamare con stupore che una cosa, un evento, una persona sono belli? Che vale la pena osservare e vivere questa bellezza fino in fondo? Non era forse la semplicità di uno sguardo che coglie i segreti della vita e li comunica a tutti? Che desidera dichiarare ciò che sente e ha provato nell’anfiteatro del cuore? In ritmi analoghi ad alberi, nuvole, fiori, animali, acqua, mare, vento che diventano esperienze interiori concrete, manifestate in forme e danze riconoscibili… E la donna pensava tra sé e sé che forse il presentimento d’amore scoperto in ogni cosa, non è distante dallo sguardo d’affetto rispetto alle relazioni. Per trasformare qualcuno bisogna guardarlo con amore… così come tutta la realtà, guardata allo stesso modo, restituisce bellezza, anzi, la libera e la dona perché sia goduta. E… la gioia di essere cristiani, di essere stati creati e guardati e trasformati dall’Amore… di aver incontrato e riconosciuto l’Amore per eccellenza, non possono essere comunicati allo stesso modo? Anima, ami tu l’amore? Come fai a vivere? Non ti senti consumare e morire d’amore? Ad amare, anime, venite ad amare l’Amore da cui siete tanto amate! (La Probazione). Così la monaca carmelitana S.M.Maddalena de’ Pazzi gridava suonando le campane del monastero nel quale viveva. Era il XVI secolo, e certamente il modo di comunicare la gioia di questa scoperta e questa esperienza, era diverso: ma continuiamo a sentirci interpellati dalle fresche e liberanti modalità di vivere e comunicare, di relazionarci tra noi ed evangelizzare. Forse non c’è nulla di così straordinario da pianificare, ma qualcosa di semplice da recuperare…