Rorate caeli désuper, et nubes pluant iustum; aperiatur terra et germinet Salvatorem.
Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere il giusto; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. (Is 45,8)
C’è chi legge e medita queste parole pregando la liturgia, c’è chi le canta in italiano o in latino, in musica figurata o in gregoriano: nelle sue diverse modalità, si alza da questa terra desolata un’implorazione densa di speranza, spinta dal desiderio di ricevere grazia e consolazione dal Signore che viene. È un grido di consapevolezza e di attesa, una supplica che affonda le radici nella tradizione biblica e risuona come esperienza di tutti i tempi e di tutti i luoghi in cui l’uomo vive. La melodia gregoriana si presenta con il primo modo, richiama quindi uno stato d’animo grave, appesantito, ma aperto al cambiamento. La musica raggiunge in alcuni tratti, apici melodici sulle parole che indicano l’incontro tra cielo e terra: un incontro che avviene per uno sguardo che si alza, per una preghiera accorata. D’un tratto le note corrono sul tetragramma: note discendenti, come una carezza indicano un prezioso abbassamento, richiamano l’Incarnazione del Signore. Come foglie d’autunno siamo caduti a terra: continuiamo a tremare e a volteggiare perdendo equilibri e orientamento. Non ricordare ancora il nostro peccato, non soffermarti su di esso, Signore: siamo stati creati per la gioia perfetta, con e per amore, ma abbiamo ceduto al male. Spirano venti vorticosi, strappano qualcosa, ci trascinano. Come foglie d’autunno, si. Se tu ci lasci andare siamo destinati all’aridità provocata dalla miseria della nostra natura, che però… può essere terra aperta e accogliente per far germinare vita. Ecco, manda il tuo Verbo che chiede di entrare in noi, conosciuto più profondamente nell’esperienza della misericordia che tu ci hai mostrato, della salvezza che ci hai donato. Come foglie d’autunno, sperimentiamo fragilità, ma quando la foglia sembra accartocciarsi, diviene contenitore che custodisce l’acqua piovana su cui si rispecchia la Tua luce. Confòrtati, confòrtati, o mio popolo, improvvisa verrà la tua salvezza. Perché ti struggi d’amarezza per il dolore che ti penetra? Ti porterò io a salvezza, non temere; sono infatti il tuo Signore, il tuo Creatore, l’Ideale tuo, il tuo Redentore. (Cfr Rorate) Lo sguardo di Cristo è quello con cui la Chiesa in questo tempo d’Avvento guarda ogni suo figlio, con una tenerezza senza limite, con un abbraccio senza confine, perché ciascuno di noi possa sentire su di sé tutta la commozione con cui il Mistero guarda la nostra vita, dove niente è escluso da questo sguardo, anche quelle cose che noi non siamo quasi in grado di guardare. È quello che fa la Chiesa con il canto Rorate, invocando il Signore (D.Julian Carròn, Esercizi degli Universitari di Comunione e Liberazione, Rimini, Dicembre 2009).
Nel celebrare la Vergine Immacolata, abbiamo nuovamente ascoltato la voce di Dio che cerca Abramo: “Dove sei?” Dove sono finite queste foglie trasportate dal vento? L’uomo peccatore cerca di nascondersi, la donna tutta bella invece, è subito raggiunta dal saluto dell’angelo e risponde sollecitamente all’incontro con Dio. Un fiore sempre aperto, con foglie basali sempre verdi. Ma pur sempre delicato nella sua natura. È per lei che possiamo cantare un canto nuovo con il salmista e celebrare, passando per la domenica della gioia, una felice attesa della nascita di Gesù. Per lei possiamo ricevere aiuto nel rispondere sollecitamente alle nostre chiamate, per acclamare con tutto il cuore la revoca della nostra condanna: il Signore è in mezzo a noi e rinnoverà il suo amore… (Cfr Sof 3, 14-18). Alma Redemptoris Mater, Madre che dai vita, Madre del Redentore: tu che hai generato il tuo Santo Genitore nello stupore della natura, concedi anche a noi di partecipare a tale stupore: la tua intercessione splenda per noi come la luce della stella che guida in naviganti portati al largo dal desiderio di Dio.

Sr M. Daniela del Buon Pastore, O.Carm.