“Padre misericordioso, hai tanto amato il mondo da mandare in mezzo a noi il tuo Figlio, nostro Salvatore e, accanto a Lui e a sua Madre, hai posto san Giuseppe vigile custode della Santa Famiglia, prima Chiesa domestica; per sua intercessione, infondi in noi lo Spirito d’amore perché siamo custodi solleciti gli uni degli altri”.
In questo tempo di relazioni così sofferte, di paure che alimentano diffidenze e distanze, di tensioni e i conflitti tolgono la vita, mentre la pace sembra un desiderio irraggiungibile, P. Luca Sciarelli, O.Carm., ha proposto di continuare il nostro percorso di riflessione guardando San Giuseppe, custode di speranza. E lo ha fatto ripercorrendo alcune tappe della sua vita attraverso la Sacra Scrittura. Dio agisce nella nostra umanità, lì dove i nostri sogni, le nostre aspettative miseramente naufragano, tra tentazioni e rimpianti. Giuseppe è un uomo come noi, vive il dramma di un sogno infranto ed è chiamato a rinunciare a sé stesso per diventare sé stesso. La santità di Giuseppe, la sua capacità di essere padre e custode di Maria e del Figlio di Dio, cresce nell’accettare di lasciarsi spogliare da Dio per rinascere. Giuseppe ha saputo confidare sempre in Dio perché sapeva ascoltarne la voce. I carmelitani nutrono un particolare affetto per questo grande Santo e ne curano una speciale devozione. Lo “abbracciano” come colui che soccorre in ogni necessità, che aiuta grandemente le anime che si raccomandano a lui (S. Teresa d’Avila). Come umile uomo di fede che ripete a tutti noi quel “non temere” pronunciato dall’angelo che in sogno lo incoraggiava a prendere in sposa Maria.
“Ama la vita più della sua logica” diceva Dostoevskij: parafrasando, obbedisci alla Vita anche quando non ne capisci le logiche. Fidati, comunque. E alla fine la Vita prevarrà. Ecco l’origine e l’alimento della nostra speranza, ecco quello che San Giuseppe ci ha lasciato come eredità: un uomo che sa vivere affidandosi al Padre, sarà per tutti coloro che incontra “padre”, perché li aiuterà a custodire la vita e la speranza. P. Luca ha ricordato che coloro che tradiscono la vita e la distruggono, divengono tanti Erode, percepiscono ovunque qualcosa che li minaccia: “non pensano bene di Dio”, non riescono a fidarsi e si affannano per tenere sotto controllo la vita, temendo che precipiti tutto. Le estreme conseguenze di questo atteggiamento le vediamo e possiamo constatare che i dittatori di ogni epoca sono orfani di Padre. Quando l’angelo comanda a Giuseppe di rifugiarsi in Egitto per sottrarsi alla minaccia di Erode, il testo evangelico sottolinea che egli, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte. Un’indicazione cronologica, ma non solo: un’indicazione della prontezza di Giuseppe nell’obbedire in una circostanza dolorosa. Giuseppe emerge davvero come padre di Gesù nel significato più profondo di colui che custodisce, protegge, apre il cammino. Come Dio si prende cura della nostra fragilità, così è il genitore: alla dolcezza della madre e alla debolezza del bambino, si affianca la fermezza della presenza e della dedizione di uno sposo e padre. Giuseppe sa muoversi nella notte mentre tiene fermo il ricordo del giorno, quel giorno che egli ha conosciuto vivendo una vita nella giustizia, cioè in atteggiamento orante e obbediente davanti a Dio.
Giuseppe è padre anche per noi: ci incoraggia ad affrontare la vita con le sue notti e ci aiuta a liberare l’adulto che è in noi. Come? Con le soluzioni creative sperimentate nel suo lavoro di carpentiere; con l’affidamento al Padre, che dona la forza di rischiare; con l’incoraggiamento a non fuggire, ma piuttosto a mettersi in ricerca, senza evitare le crisi; educando alla ferialità, a restare fedeli nel quotidiano, perché è lì che si gioca la vita.
Giuseppe mi piace pensarlo come custode delle debolezze perché divengano salde nella fede. Un uomo capace di sognare che diviene custode del sogno di Dio: il sogno di salvarci tutti, di questa ricreazione, è confidato a lui (Cfr Papa Francesco, Omelia 20 marzo 2017).
Sr M. Daniela del Buon Pastore, O.Carm.