Cosa vuol dire “Vita carmelitana, spiritualità della risurrezione”? P. Nicola Sozzi, O.Carm. ha cercato di spiegarlo nell’ultimo incontro in preparazione al nostro 30mo di Fondazione. Non è semplice sviluppare il tema della Risurrezione, perché non è semplice percepirla nella vita. Nella spiritualità cristiana, infatti, tanto spesso l’attenzione si concentra sul valore redentivo della sofferenza, sulla via della Croce percorsa da Gesù, percorsa da ogni uomo. In tempi e modalità diverse, tutti sperimentano dolore, sofferenza fisica, sofferenza morale.
S.M.Maddalena de’ Pazzi, O. Carm., la cui vita è un cantico appassionato per l’Amore non amato, vede nella croce lo specchio della sua fragilità, delle sue ferite. E nel suo intimo, come pure negli atri del Monastero, rivive la Passione di Cristo, insieme anche a percezioni straordinarie della vita Trinitaria, dei movimenti dello Spirito santo, dell’Incarnazione del Verbo. P. Nicola ci ha invitato a fermarci sulle percezioni e sulla lettura di quei piccoli grandi segni che annunciano: “il Signore è risorto, è qui”. E lo ha fatto rileggendo i Vangeli che narrano questo evento straordinario senza il quale la nostra vita non avrebbe senso. La risurrezione ci sfugge, è complessa: l’esperienza della risurrezione inizia nella notte, nel pianto, nel vuoto. Il sabato che precede la Pasqua, è un giorno molto triste, scorrono fiumi di lacrime. Come in tante giornate della nostra vita. Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete». Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia. (Mt, 27, 62-66) Sommi sacerdoti e farisei sapevano bene chi era Gesù, meglio dei discepoli: avevano compreso il segno della risurrezione di Lazzaro e temevano che il Messia, riconosciuto tale, potesse esporli a gravi disagi politici e sociali. Nessuna precauzione però poteva essere efficace per “contenere” gli effetti della Risurrezione: anche il manipolo di soldati, diviene testimone e strumento per annunciare la risurrezione del Signore. Alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati (Mt 28, 11-12) cercando di corrompere la verità. Maria di Magdala, come leggiamo nel Vangelo di Giovanni, teme che il corpo di Cristo sia stato rubato: Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Gv 20, 1-2 Un amore rubato, una speranza rubata, una desolazione inconsolabile. Un’esperienza che richiama tante esperienze di lutto e di fatiche che ogni uomo vive. In simili circostanze, come possiamo parlare di segni di risurrezione e della consolazione che ne viene e che apre le porte alla speranza che è certezza? E quale può essere il contributo apportato dal nostro carisma carmelitano per favorire questa lettura?
C’è chi vide e credette: è Giovanni, che entrando nel sepolcro legge i segni che gli altri, travolti da forti emozioni, non erano stati in grado di leggere (Cfr Gv 20,8). Il maestro lascia tracce di Sé, forse anche nel modo di ripiegare i teli e l’evangelista cerca di educare ad accogliere quelle percezioni personali e intime che parlano della risurrezione. Vedremo in seguito le possibili risposte ai nostri interrogativi.
Sr M. Daniela del Buon Pastore, O.Carm.