“Date voi stessi da mangiare” (Mc 6,37). Nella celebrazione del Corpo e Sangue del Signore, abbiamo ringraziato Dio per il dono dell’Eucaristia, accompagnate dalle riflessioni offerte da P. Juliano Luiz da Silva, O.Carm. che ha iniziato la sua omelia proprio citando il versetto del vangelo di Marco. Una frase incisiva, pronunciata da Gesù in un momento in cui sembrava impossibile rispondere alle esigenze del popolo. Spesso ci preoccupiamo di come raggiungere il cuore degli uomini, della modalità più efficace di portare Cristo e la nostra esperienza di Lui al mondo. E magari cerchiamo di preservarci, per non consumare energie, tempo, salute, trovando una misura nel servizio, per raggiungere tutti in modo adeguato. Chissà se è davvero giusto: in fondo Gesù non si è risparmiato nulla. Anzi, ha dato realmente tutto, si è consumato nella carne, ha amato fino alla fine. Ha dato Sé stesso per noi e continua a farlo in ogni celebrazione eucaristica. Il sacerdote in particolare, offre le mani a Cristo perché il Pane, cibo che conduce alla vita eterna, non venga a mancare sulla mensa: offre e si offre, perché quel pane sia spezzato e condiviso. Offre e si offre con il popolo perché Cristo percorra ancora le vie della storia, le vie dell’uomo. P. Juliano, presentando a grandi linee la storia di questa solennità, ha citato la visione di Giuliana di Cornillon, monaca agostiniana vissuta nel XIII secolo: quella luna piena vista con gli occhi del cuore e rappresentante la Chiesa, mostrava una parte scura, ad indicare la mancanza di una celebrazione liturgica in onore del Santissimo Sacramento. Per ravvivare la fede dei fedeli e riparare i peccati commessi contro l’Eucaristia. Conosciamo la storia della richiesta dell’istituzione della solennità del Corpo e Sangue del Signore fino alla bolla Transiturus dell’11 agosto 1264 con la quale il papa Urbano IV estendeva la celebrazione solenne a tutta la Chiesa: e questo avveniva l’anno successivo il miracolo eucaristico di Bolsena, risposta di Dio all’incredulità di un sacerdote boemo in pellegrinaggio verso Roma. Per ravvivare e riparare bisogna consumarsi. Nel cuore della nostra regola carmelitana, al n° 14, si leggiamo da secoli –  da quando la celebrazione eucaristica quotidiana era piuttosto straordinaria – che “ogni singolo giorno dobbiamo convenire ad ascoltare la S. Messa”. Il luogo in cui si celebra la S. Messa, suggerisce anche la disposizione degli spazi interni del convento o del monastero: l’oratorio è il centro, perché simbolicamente richiami il centro della nostra vita. “L’Eucaristia è il culmine del discorso comunitario che si sviluppa. Il simbolismo universale del centro rivela che essa ha funzione di centro dinamico che raduna e unisce nella comunione” (C.Cicconetti, La Regola del Carmelo). Teresa di Gesù Bambino un giorno rimproverò uno dei suoi fratelli missionari, affidati alle sue cure oranti. Egli aveva manifestato un ingiustificato timore nei confronti di Gesù: “Non capisco come le anime riescono ad avere paura di un Dio che si è fatto così piccolo solo per essere nostro amico”. P. Juliano lo ha domandato all’assemblea, e poi a sé stesso e a noi come famiglia religiosa. Titus Brandsma comprese la sua vocazione il giorno della sua prima comunione, quando, come testimonia una delle sorelle, si raccolse talmente in sé stesso da comprendere che se si è occupati col Signore, non si può pensare a null’altro. E da quel momento, la sua capacità di preghiera e di servizio al prossimo, ha illuminato visibilmente e in modo costante la sua vita di una luce sovrannaturale, fino alla piena conformazione a Cristo Crocifisso. Esistono diversi testimoni, compagni di prigionia nel campo di concentramento, che raccontano la sua devozione eucaristica e il suo esporsi alla morte pur di celebrare e portare l’eucaristia di nascosto a coloro che lo desideravano: la custodia dei suoi occhiali era la “teca” con la quale egli trasportava le specie eucaristiche, mirabile documento dell’amore immenso di Dio per gli uomini.

Sr M.Daniela del Buon Pastore, O.Carm.