Proseguiamo il nostro percorso di riflessione per la preparazione al 30mo di fondazione: dopo aver cominciato a riflettere sull’eredità di S. Teresa di Gesù Bambino circa l’esperienza della consolazione che a noi è particolarmente cara, cerchiamo di comprendere con P. Cosimo Pagliara, O. Carm, il linguaggio della consolazione nell’esperienza profetica di Elia. Il profeta in un tratto della sua esistenza sperimenta una crisi profonda e cerca di fuggire lontano dalla vita che lo delude, lo spaventa. Una fuga impossibile, nella quale non riesce più a percepire la presenza di Dio. Qual è dunque la consolazione sperimentata da Elia? Sono tante le definizioni di consolazione: quella che più attinge al tesoro della Sacra Scrittura è legata all’esperienza della tenerezza di Dio in un momento particolare della vita ed Elia fa proprio esperienza di questo particolare amore di Dio. La quaresima è il tempo ideale per sperimentare la consolazione di Dio: con tutte le nostre fragilità entriamo nel tempo in cui Egli parla particolarmente al nostro cuore. Il “profeta di fuoco” – che aveva sfidato i profeti di Baal e dimostrato al popolo sul monte Carmelo, che l’unico vero Dio è il Dio di Israele – è minacciato di morte dalla regina Gezabele, moglie di Acab, responsabile della corruzione del popolo generata dai culti pagani.

Acab riferì a Gezabele tutto quello che Elia aveva fatto e che aveva ucciso di spada tutti i profeti. Gezabele inviò un messaggero a Elia per dirgli: «Gli dèi mi facciano questo e anche di peggio, se domani a quest’ora non avrò reso la tua vita come la vita di uno di loro». Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi. Giunse a Bersabea di Giuda. Lasciò là il suo servo. Egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri» Si coricò e si addormentò sotto la ginestra (1Re 19, 1-5). Crisi di Elia e di ognuno di noi. L’uomo moderno sente e vive questa crisi, definita come stanchezza, depressione spirituale o psichica. Le depressioni spirituali generalmente si manifestano nella fase adulta di chi riconosce di aver ricevuto un compito nella vita: nel vivere la propria missione, sperimenta grazia ed energia e rischia di convincersi dell’impossibilità di sperimentare un fallimento oppure di poter condurre la storia con le sue proprie forze. Elia non ci svela solamente una grammatica per riconoscere queste crisi, ma il modo di superarle, in cui gioca un ruolo importante la consolazione di Dio. Il primo elemento su cui fermare l’attenzione è la fuga nel deserto. La fuga davanti ad un pericolo è la cosa più naturale: ebbene, quella diventa per il Signore un’occasione ideale per recuperare la persona, il senso della missione che Egli le affida. Elia ha dimenticato che Dio agisce nella storia attraverso i suoi figli, la sua è una crisi di fede. Fugge verso il deserto per salvare la sua vita, ma il deserto è un luogo di morte: è una sfida lanciata a Dio, di cui egli non percepisce più la presenza?  Preferisce morire piuttosto che vivere una vita difficile: non capita anche a noi quando ci rivolgiamo a Dio con le parole “Signore, non ce la faccio più, sono stanco”? Elia non è più in grado di vedere il volto di Dio. Si sdraia sotto una ginestra che è un cespuglio con poche foglie, che fa poca ombra e si addormenta nel rifiuto profondo della vita. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!»

Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. (1Re 19, 6-8). La prossima settimana rifletteremo sulla manifestazione consolante di Dio nella crisi del profeta.

Sr M. Daniela del Buon Pastore, O.Carm.