Ponti invisibili,

parole pronunciate e ascoltate

corrono avanti e indietro

ed intrecciano e tessono trame di vita

nella mente che non ha vissuto

quello che ascolta.

E che accogliendolo

Lo rende vita vissuta.

 

Tempo di attesa e di ascolto; attesa di scoprire, conoscere e vivere qualcosa di bello, di grande. Ascolto di ogni minimo sussurro che possa aiutare la ricerca e l’attesa, per godere fino in fondo l’evento e in esso, continuare a vivere in novità di vita. E’ così che stiamo vivendo il tempo di avvento? Continuando a porre attenzione al parto di Maria, come accennato nel precedente articolo, aiutandoci con l’esperienza di una maternità comune e delle dinamiche che la investono, cerchiamo di custodire un cuore di mamma; un cuore che resta “appeso” al Cielo nell’attesa di terminare in gioia la sua collaborazione alla realizzazione del miracolo della vita che nasce e cresce …la nostra, interiore, e quella delle persone che incontriamo sul cammino. Ascoltando il racconto di una mamma e delle emozioni legate alla gestazione, anche chi non ne fa esperienza diretta, “entra” in un mondo che prende forma nella sua mente e nel suo cuore, sentendo per partecipazione le vibrazioni di questo speciale vissuto. Dovrebbe essere così e massimamente, nell’ascolto della Parola di Dio che, viva, una volta entrata in noi, chiede di crescere ed essere alimentata. L’attenzione di chi porta avanti una gravidanza, magari anche sofferta, non è alla propria persona; quello che la mamma sente del suo corpo la preoccupa per le possibili ripercussioni sul bambino che si forma in grembo. Contemporaneamente non vuole sottrarre tempo a chi le sta intorno, anzi, desidera lasciare a tutti l’aspetto gioioso dell’attesa, assorbendo la preoccupazione solo per sé. E’ una scuola di amore generativo e gratuito, profondo, sofferto e offerto che si estende oltre il concepimento e investe tutto il mondo interiore e circostante. In quell’attesa si cambia e si cambia veramente; cambiano le priorità. L’ attesa è un movimento del cuore, non una sosta. Nei momenti più sofferti, la mamma che riceve tutto dal Signore, si “arrende” a Dio; di fronte al miracolo della vita, che stupisce e intensifica il tempo, nascono spontaneamente sentimenti di ringraziamento e di affidamento. Ci si trova davanti ad un dono infinitamente grande che da soli non possiamo custodire. L’attesa non è fretta di consumare eventi, ma sguardo che si allontana e al tempo stesso fa godere l’attimo presente senza il quale non esisterebbe futuro. Così il tempo non sfugge, ma rallenta nel particolare. Chissà perché noi viviamo (e speriamo sia almeno così) solamente i grandi eventi con questa sana tensione… Eppure il quotidiano ne presenta tanti di miracoli, ognuno con il suo valore e la sua intensità. A volte sembra che per vivere veramente, si debba aspettare il grande evento… E Maria? Si può immaginare che il Signore abbia bussato più volte per entrare e ogni volta Maria abbia aperto la porta. Il cuore di Maria è sempre rimasto in attesa della realizzazione delle promesse di Dio per il popolo e per lei. Un’attesa “fuori dal tempo” e contemporaneamente nel tempo, cioè, fuori dal consumarsi senza godere il dono e contemporaneamente cercando in ogni istante piccoli segni dell’arrivo. Il suo grembo era predisposto ad accogliere il Figlio di Dio perché il suo cuore era esercitato nell’attesa di questo evento … Dinamiche di entrata e uscita che riguardano la maternità; il Signore bussa per entrare, il Signore bussa per uscire. Così per noi; il Signore bussa al nostro cuore per entrare; Lui già c’è ma il nostro cuore deve riconoscerlo e accoglierlo consapevolmente. Una volta accolto, però, non resta ospite chiuso, solo per noi. Chiede di essere partorito, bussa per uscire. Vuole mostrarsi affacciandosi da ognuno di noi al momento opportuno. Vuole che continui nel tempo il sussulto di essere riconosciuto presente in ogni grembo, in ogni cuore, per essere tutti in uno. Come dire… questa è l’immagine con cui siamo stati creati.

Allora, siamo pronti a declinare questo verbo attendere insieme a Maria perché diventi un verbo dell’amore?